L’Occidente, che apprezzava il modello di stabilità autoritaria nel Maghreb, ora teme una deriva islamista della Primavera araba. La Francia non disapprovava il sistema carcerario tunisino e alla minima critica, Ben Ali minacciava il blocco dei capitali francesi investiti in Tunisia e l’abolizione del francese come materia d’insegnamento. L’orientamento dei nuovi governi è controverso e sfaccettato. Ha suscitato scalpore la controtendenza libica con la vittoria dei ‘liberali’ e secolari, ma la coalizione di Jibril non è liberale nell’accezione occidentale del termine. Nel mondo arabo il termine ‘almany’ (laico, secolare) significa società in cui la religione occupa uno spazio marginale nella vita pubblica e pochi partiti si definirebbero in questo modo. In Tunisia sotto Bourguiba il laicismo fu un’imposizione. Nei regimi nasseriani e baathisti quello religioso era l’unico luogo pubblico di riunione, perciò visto con sospetto dal potere. Fa eccezione la Tunisia, grazie ad una borghesia formatasi a Parigi e all’Union Generale Tunisienne du Travail, potente sindacato. Nonostante ciò, in Egitto e Tunisia hanno preso il potere le filiali di un’organizzazione internazionale, i Fratelli Musulmani. Detti Ikhwan, puntano alla creazione di un’entità panislamica sul modello ottomano, ma nei fatti c’è poco coordinamento e ogni sezione nazionale ha le sue priorità. A Tunisi governa Ennahda, partito conservatore espressione della Fratellanza, ormai nei gangli statali. Spesso persone si presentano a nome di Ennahda e pretendono assunzioni o favori da imprese pubbliche. Il partito è diviso tra la corrente dei conservatori, che corteggia i salafiti, e i ‘modernisti’. Al governo ci sono anche due partiti di centrosinistra, il Congresso per la repubblica del Presidente Moncef Marzouki ed Ettakatol del presidente dell’assemblea Ben Jafar. Ma il vero padrone del paese è il presidente di Ennahda, il 71enne Rashid Gannushi, personaggio controverso tornato da Londra dopo vent’anni d’esilio. Da un lato il 26 marzo ha escluso l’inserimento di principi sharitici nella nuova costituzione e ha ribadito che il Codice dello Statuto personale, conquista civile introdotta da Bourguiba, non sarà modificato. Dall’altro ha parlato di ‘estremisti laici e religiosi’ accostando Bourguiba “che pensava di rappresentare tutti i tunisini” ad Al Zawahiri, capo di Al Qaeda, “che pensava di imporre uno stile di vita a tutti”. Quanto ai salafiti, ha aggiunto: “Non giudichiamo le persone per le loro opinioni, chi porta una barba non è necessariamente un salafita. Anche Karl Marx aveva la barba”. Inoltre Ennahda sta cercando un modo per legalizzare Hizb ut Tahrir – un movimento internazionale che vuole creare un califfato panislamico governato dalla svaria – senza contravvenire alla legge tunisina che vieta i partiti religiosi non repubblicani. I dirigenti di Ennahda sostengono che la clandestinità servirebbe solo a rafforzare questi movimenti radicali, ma a metà giugno non hanno condannato un fatto grave. I salafiti, penetrati di notte nel palazzo El Abdellia a La Marsa, vicino Tunisi, dov’era allestita la mostra della Primavera delle arti, hanno distrutto una decina di tele considerate blasfeme. L’integralismo tange anche il rapporto tra donna musulmana, protagonista della Primavera, e diritti. Sebbene in Tunisia viga il codice di statuto personale, la donna ha diritto alla metà di quanto eredita un uomo. Sana Ben Achour, nota femminista, vuole totale parità e si è battuta con successo affinché la legge elettorale prevedesse liste al 50% femminili. Ma Sumaya Gannushi, figlia di Rashid, utilizza i social network per campagne di odio e messaggi aggressivi contro le donne che vestono o vivono all’occidentale. Alla facoltà di Lettere e arti di Manouba, una studentessa si è rifiutata di togliere il velo integrale per sostenere un esame, così l’università ha vietato il niqab e i salafiti, esterni all’ateneo, hanno reagito sequestrando il rettore. Anche questa volta Ennahda ha nicchiato. Il futuro della Tunisia, dell’Egitto, della Libia e del mondo arabo è incerto e complesso. Parlare genericamente di deriva integralista è superficiale, lo scenario è mutevole ed ogni paese costruirà la sua identità secondo numerose incognite.
MATTEO PUGLIESE