Il socialismo è un modo di agire, di pensare e di intendere la società che è nato assieme all’uomo. Esiste da sempre. Ma il socialismo come dottrina politica e movimento sociale e culturale ha iniziato a diffondersi in Europa a partire dall’Ottocento. I cosiddetti “padri” del socialismo che hanno contribuito a diffondere i principi della dottrina e a gettare le basi per la costruzione progressiva dei primi partiti socialisti europei sono numerosi: da Saint-Simon a Fourier, da Sorel a Bakunin, da Marx a Engels, da Proudhon a Lassalle, da Babel al nostro Giuseppe Mazzini. I primi movimenti organizzati iniziarono a formarsi nei grandi paesi europei dalla fine dell’Ottocento all’inizio del secolo scorso grazie a grandi esponenti politici e sindacali che sulle tesi dei padri storici crearono i primi partiti politici socialisti: Bernstein in Germania, Turati e Andrea Costa in Italia, e così via fino a Lafargue, Plekanov, Victor Adler e Guesde. Vennero fondati l’Spd tedesco, il Psi italiano, il Labour Party anglosassone e diversi altri partiti di stampo socialista e marxista.
Da subito però iniziarono a nascere due grandi e diverse correnti all’interno degli stessi partiti. Correnti che si differenziavano non nel modo di intendere il socialismo, ma nei modi e nei mezzi per applicare quest’ultimo in una società capitalista. La corrente rivoluzionaria professava il rovesciamento del sistema capitalista e, attraverso la lotta armata e la rivoluzione, mirava ad imporre un regime operaio applicando un’economia socialista. La corrente dei riformisti invece non voleva abbattere il capitalismo ma superarlo lentamente e gradualmente attraverso una serie di riforme sociali e nel pieno rispetto della legalità. Per alcuni anni queste due correnti convissero all’interno dello stesso partito cui appartenevano in nome del nemico comune da battere: il capitalismo e le diseguaglianze sociali. In un secondo tempo, a partire dagli anni Venti del secolo scorso iniziarono le grandi scissioni interne che portarono alla divisione tra i riformisti, che rimasero “socialisti”, e la creazione di grandi partiti comunisti sulle tesi russe di Nicola Lenin, completamente rivoluzionari e filosovietici. Riformisti e rivoluzionari saranno sempre, da quel momento in poi, eterni antagonisti all’interno delle sinistre europee. Un’eccezione fu la parentesi del nazifascismo, dove riformisti e rivoluzionari, almeno in Italia, tornarono a combattere assieme in nome del nuovo nemico comune da battere: la dittatura nazifascista. Nel corso della storia, diversi “orrori” commessi dal comunismo sovietico portarono alla sconfitta intellettuale del metodo massimalista (dal programma massimo dei 21 punti di Mosca stilati da Lenin) e rivoluzionario ed alla vittoria storica e politica della socialdemocrazia. Tragiche vicende come il patto Molotov-Ribbentrop tra Russia comunista e Germania nazista, gli orrori commessi dietro la maschera di un preteso antifascismo, l’invasione dell’Ungheria da parte di Giuseppe Stalin, sono tutti eventi destinati a non ripetersi mai più. Il socialismo europeo ha avuto così una sola legittima impostazione, valida e conforme all’interno di sistemi democratici: la socialdemocrazia, destinata invece a rimanere ancora attuale.
A metà degli anni Novanta del secolo scorso, la storia sembra ripetersi. Stessa identica impostazione ideologica. Stesse correnti e stessi pensieri. Quasi le stesse realtà sociali. Stesse rivendicazioni. L’unica cosa diversa sembra essere solo l’area geografica e geopolitica: dall’Europa all’America Latina, e con quasi cento anni di differenza. “Il socialismo del XXI secolo”, è stato chiamato da qualche storico. Fatto sta che lo sviluppo degli eventi da dieci anni a questa parte, della situazione politica, economica e sociale del Sudamerica ci suona molto familiare. L’unica grande differenza sostanziale tra l’Europa di inizio Novecento e l’attuale situazione del Sudamerica è che quest’ultimo gode oggi di un enorme vantaggio rispetto al nostro continente; se è vero infatti che la Storia è maestra di vita, l’America Latina deve stare attenta a non ripetere gli errori del passato fatti dall’Europa. Essa può e deve fare tesoro di quanto accaduto agli inizi del secolo scorso in Europa ed agire di conseguenza.
Ma cominciamo col parlare della situazione sociale. Gli attori ci sono tutti e sembrano gli stessi: nel primo Novecento europeo la classe “povera” era quella dei contadini agricoli, ma i tempi sembravano già maturi per l’ascesa di una nuova classe: quella del proletariato, nata con l’affermarsi dell’industrializzazione in tutta Europa. Insomma, la presenza di una classe povera, di una classe lavoratrice, di una classe sfruttata. Oggi in America Latina la classe che incarna quella del proletariato e dei contadini agli albori del XX secolo è rappresentata dagli indios. Era impensabile nel periodo dell’Italia o dell’Europa capitalista la presenza in politica di deputati provenienti da classi diverse da quelle borghesi. E ciò che rafforzava e proteggeva tale sistema era la presenza di una legge elettorale estremamente censitaria ed elitaria. La grande rivoluzione fu l’ascesa al Parlamento di deputati provenienti dalle classi povere, contadine ed operaie. E molti furono i deputati socialisti che riuscirono ad ottenere tale storico risultato. Prima si distinguevano tra le masse operaie come organizzatori di scioperi, come leader morali di un gruppo di lavoratori e ben presto la loro fama cresceva da territorio in territorio, fino divenire celebri in intere regioni italiane come sindacalisti delle varie camere del lavoro. Infine, come coronamento della loro opera, si candidavano in Parlamento e venivano eletti con i voti operai.
Stessa cosa in Sudamerica: prendiamo ad esempio Evo Morales, attuale presidente della Bolivia. È la storia di un uomo che è diventato il primo presidente indio a guidare lo stato boliviano in oltre 500 anni dalla conquista spagnola. Morales è il leader del movimento sindacale dei cocaleros boliviani, una federazione di colonizzatori campesinos quechua e aymara e coltivatori di coca che si oppongono agli sforzi, principalmente degli Stati Uniti, di sradicare le coltivazioni di coca nella provincia di Chapare, nella Bolivia centro-orientale. Morales è anche il fondatore e leader del partito politico boliviano Movimiento al Socialismo, Mas, il principale partito di governo. Altra grande analogia risiede nella presenza di un “nemico” da abbattere: il socialismo europeo delle origini aveva come antagonista storico il sistema capitalista borghese. L’America Latina oggi si batte contro le grandi lobby finanziarie mondiali come il Fondo Monetario Internazionale e contro il capitalismo degli Stati Uniti d’America e la sua politica estera imperialistica che non permette agli stati poveri del Sudamerica di essere completamente indipendenti. Un’analogia tutt’altro che minima. L’obiettivo comune di tutti gli stati latini è infatti il raggiungimento della più totale indipendenza dagli Usa. Durante il periodo dell’insediamento del presidente Hugo Chavez in Venezuela, ad esempio, gli Usa finanziarono i media venezuelani per mandare in onda filmati e telegiornali “adattati” nel trasmettere solo immagini e filmati contro il neo-presidente. Finanziarono un vero e proprio golpe contro il neoeletto Hugo Chavez, golpe che però non andò a buon fine.
In più l’ex premier brasiliano Lula, in un’intervista, dichiarò che quando andò al Fondo Monetario Internazionale per saldare il conto dei prestiti, l’istituzione finanziaria non aveva alcun interesse nel riprendersi i soldi e disse a Lula di tenersi i soldi ancora per qualche anno. Questa vicenda appare molto curiosa se pensiamo ai mesi di tempo che invece l’Fmi impiega per rispondere alle richieste di prestito da parte dei Paesi del terzo mondo africano.
L’ennesima analogia con la storia del socialismo europeo di inizio secolo è rappresentata ovviamente dalle due grandi correnti socialiste: come al solito riformisti e rivoluzionari. Ad oggi interpretate dai “lulisti” e dagli “chavisti”. I paesi latini alleati con il Brasile di Lula e la neo-presidentessa Rousseff sono infatti più moderati rispetto ai paesi dell’Alleanza bolivariana rappresentati dal Venezuela di Chavez. Le analogie ci porterebbero dunque a pensare che i partiti della Seconda Internazionale del 1889 hanno oggi il loro equivalente nell’alleanza socialdemocratica dei lulisti, mentre la Russia e il blocco comunista della Terza Internazionale o Comintern sono meglio incarnati nell’Alleanza bolivariana di Hugo Chavez, Evo Morales, Raul Castro e gli altri. In teoria sì. Ma in realtà c’è una non sottile differenza: le due grandi correnti socialiste questa volta non sono in lotta fra loro, ma sono invece amiche e alleate.
I riformisti socialdemocratici oggi non sono emarginati e perseguitati dai massimalisti, anzi, essi rappresentano la maggiore potenza del socialismo sudamericano, grazie al Brasile di Lula e Rousseff che è diventato, negli ultimi quindici anni, una delle maggiori potenze economiche mondiali. In più Hugo Chavez, leader indiscusso dei bolivariani rivoluzionari e nazionalisti, ha dichiarato in diverse interviste che Lula è “suo fratello” e che tra i due c’è un rapporto di amicizia fraterna non indifferente. Il progetto di Lula mira a fare di tutto il Sudamerica una delle piu grandi potenze mondiali, al pari degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e della Russia. Lulisti e Chavisti hanno in comune molti caratteri come il perseguimento dell’obiettivo comune dell’indipendenza dagli Usa e dell’eliminazione totale delle disparità sociali tra classi ricche e classi povere, con il riconoscimento dei pieni diritti degli indios. L’unica, e ad avviso di chi scrive anche grande, differenza tra i nuovi riformisti latini e i nuovi rivolucionarios sta nell’accettazione o meno del sistema democratico dell’alternanza.
I nuovi massimalisti hanno infatti il difetto di “innamorarsi” troppo del potere; tant’è che in diversi paesi dove governano presidenti chavisti, questi ultimi hanno provato, negli anni, a presentare leggi di riforma istituzionale che potessero permetter loro di restare al potere quasi in eterno. Viceversa, Lula e gli altri leader socialdemocratici hanno accettato il sistema dell’alternanza democratica e sono più inclini a sostenere ed a mandare avanti il partito politico piuttosto che il suo leader.
Un esempio calzante può essere quello del Guatemala: alla fine del suo mandato, il presidente socialista Golom aveva intenzione di presentare come candidata sua moglie, ma il sistema non lo permetteva. Il vecchio presidente tuttavia ebbe la geniale pensata di divorziare da quest’ultima per il solo fine di permettere la candidatura della donna. Un divorzio “a tavolino”. Golom fu poi condannato per frode. Per questi motivi i governi dell’alleanza bolivariana sono spesso criticati ed accusati dai media di essere delle dittature. Ma persino nel Venezuela di Chavez, dove governa appunto il maggiore dei leader bolivariani, le accuse di dittatura cadono in quanto Chavez è stato sempre eletto democraticamente con i voti dei propri cittadini e, nella recentissima consultazione elettorale, il suo avversario non è arrivato lontano dalla metà dei suffragi. L’unica analogia preoccupante potrebbe essere quella che vide l’alleanza tra Stalin e la Russia comunista con Hitler e la Germania nazista, alleanza che oggi potrebbe essere benissimo paragonata con le simpatie di Hugo Chavez nei confronti dell’iraniano Ahmadinejad. Ma si sa che Chavez, il quale ha sempre tenuto ad apparire su numerose fotografie e video abbracciato allo spietato leader iraniano, faccia questo più per dispetto nei confronti degli Stati Uniti che per qualcos’altro.
Un’ulteriore differenza tra le due correnti sta nel fatto che nei paesi socialdemocratici vi è una importante presenza di donne leader. È il caso del Brasile della Rousseff, dell’Argentina della Kirchner e della Costa Rica della Chinchilla Miranda. Inesistenti invece nei paesi chavisti. Tutto calza a pennello, insomma, i ruoli sono gli stessi, gli obiettivi pure, i protagonisti anche. Siamo di fronte alla battaglia socialista del Ventunesimo secolo? Questo non lo sappiamo. Ciò che sappiamo, però, è che stavolta le due correnti non stanno ripetendo gli stessi errori del passato. Gli ideali rivoluzionari dei massimalisti non sono ancora sfociati in dittature repressive e autenticamente comuniste e i riformisti, ad oggi, rappresentano grazie al Brasile la maggiore potenza economica del Sudamerica. Il tutto in un clima di leale collaborazione e profonda amicizia fraterna.
GIUSEPPE FERONE