I socialisti si raccontano. E si contano. A Palermo, alla Sala Rossa di Palazzo dei Normanni, in occasione del Convegno sui 120 anni del PSI, il 6 ottobre scorso. Alcuni parlano di solitudine (di oggi) dei numeri primi (di ieri); per altri non è invece una questione matematica, ma di un partito decapitato con una storia unica alle spalle. Da raccontare, appunto. E replicare, al di là dei numeri. Dopo il supposto rampantismo è ora il tempo maturo della riflessione – così sembra – e di ritornare. Alla spicciolata fino a ieri; con maggiore consapevolezza da oggi.
La Sala è quella Rossa, colore dalle monocromie di sostanza: arterie e vene, intelligenze e coraggio dei tanti uomini e delle tante donne che c’hanno creduto. E che lì sotto, sotto quelle bandiere, ci sono pure morti. Centoventi anni di storia, di partito e d’Italia, di battaglie sociali e civili che hanno segnato epoche e trapassi. E lì in mezzo sempre nomi e memorie.
Il convegno è stato organizzato dalla segreteria regionale del partito e a fare gli onori di casa è stato il coordinatore regionale Antonio Matasso, che nel suo intervento ha tracciato una linea netta scegliendo come criterio guida i sindacalisti d’area uccisi dalla mafia e i socialisti siciliani dirigenti che hanno dato prova di buon governo alla Regione e scomparsi di recente.
«Il racconto di questi centoventi anni – esordisce Matasso – non è esaustivo, ma i nomi, alcuni, ne sono tasselli irrinunciabili». E il ricordo va a Placido Rizzotto, di Corleone, ucciso dalla mafia nel 1948 (presente il nipote che ne porta il nome); a Epifanio Li Puma, di Raffo, ucciso nel ‘48; a Salvatore (Turiddu) Carnevale di Sciara, ucciso nel ‘55; a Carmelo Battaglia di Tusa, ultimo sindacalista ad essere ucciso dalla mafia (è il 1966), per poi passare dai Fasci Siciliani, al Cln, alla Costituente, a Palazzo Barberini, tra scissioni e vocazioni autonomiste dal Pci.
E poi loro, i politici regionali. Luigi Granata, assessore regionale all’industria (‘88-‘91), segretario regionale del Psi (’76-’78) e capogruppo all’Ars, scomparso nell’inverno del 2011; Aldino Sardo Infirri (presente il figlio Franco) di Castell’Umberto, nel messinese, scomparso la scorsa estate, assessore regionale alla sanità (‘83-’87) e vicepresidente della regione nell’‘86-’87. E poi, ancora, Filippo Lentini (presente la figlia), assessore regionale dal ’61 al ’66, vicepresidente dell’Ars e capogruppo del Psi, morto nel 2009.
Il 6 ottobre attorno al tavolo delle ricorrenze i nomi dei socialisti di sempre. Giovanni Barillà, componente della segreteria regionale negli anni Ottanta; la moglie Enza Catalano, assessore a Palermo negli stessi anni; Roberto Sajeva, segretario regionale della Federazione dei Giovani Socialisti; Alessio Campione, dirigente della federazione di Palermo in quel periodo; Manlio Orobello, sindaco del capoluogo (unico socialista nella sua storia) nel ’92-‘93; Turi Lombardo, già assessore regionale alla cooperazione e ai beni culturali dall’‘88 al ’91, che, tra ricordi e rimpianti, apre la porta della prospettiva: «Immaginate cosa era il partito prima… Ma siamo fra quelli che pensano che andrà meglio». E già, cos’era il partito prima? Parlare di questi centoventi anni reca con sé il retrogusto di quale (apparente) sentimento? Nostalgia? Riscatto? Matasso ci tiene a precisare che il socialismo in Europa oggi non è un fatto nostalgico perché o è partito di maggioranza o guida l’opposizione. E in Italia? «La presenza del Psi è marginale – afferma il coordinatore regionale – ma il tentativo è proprio quello di ristrutturarlo per renderlo simile a come già è nel resto d’Europa». I centoventi anni come un trampolino: i socialisti massa critica in passato per esserla, ancora, nel futuro.
Non si è parlato di Tangentopoli, ma solo dei grandi sindacalisti e dirigenti socialisti. Un modo per prenderne le distanze? Matasso è categorico: «In centoventi anni di una vicenda storica, Tangentopoli, pur col suo baccano, è stata una fase che non ha aggiunto nulla all’identità e ai valori del socialismo. È una pagina relativamente recente, ma i rilievi fatti a quella classe dirigente non reggono il confronto con quel che avviene oggi. E poi Fiorito era tra coloro che gettavano le monetine contro Craxi al Raphael… Allora si finanziava il sistema dei partiti, oggi i conti personali».
E su partiti e storia è pure intervenuto Antonino Blando, ricercatore presso l’Università di Palermo: «I partiti non hanno più storia e allora di cosa parli? Solo di diatribe personali. Con il distacco dal demos la politica non esiste più. I dirigenti, segretari, sindaci, assessori, militanti, gente che credeva nella funzione pedagogica della politica e nel ruolo del partito sono stati tanti. Ricordarli tutti servirebbe non a tuffarsi nella nostalgia ma a dimostrare come la politica si fa a tanti livelli e come i partiti siano stati una grande agenzia di selezione della classe dirigente e di semplificazione delle domande politiche». Ed aggiunge: «Occorre chiedersi che spazio c’è per una politica socialdemocratica…». E la domanda finale, che è un punto di partenza, rimane, forse scontata ma complessa, l’unica possibile: cosa vuol dire essere socialisti oggi? «Siamo una forza politica – cònclude Matasso – che deve e può rappresentare le istanze di giustizia sociale». Da qui si è partiti e da qui si vorrebbe ripartire.
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ANTONINO CICERO