Il 22 Gennaio gli Israeliani sceglieranno il loro prossimo Premier. Le elezioni anticipate sono state indette da Netanyahu ad Ottobre per assicurarsi una maggioranza schiacciante, così da poter approvare la legge sul bilancio da austerity, che per Costituzione dovrà essere approvata entro la fine del 2013 e sulla quale la composizione attuale della Knesset non trovava l’accordo.Con l’obiettivo si stravincere le prossime elezioni, Netanyahu e Lieberman, Ministro degli esteri, hanno fuso i propri partiti, dando vita a Likud Beitenu – letteralmente: la Likud è la nostra casa – che prende il nome dallo schieramento di destra Likud, di cui Netanyahu è leader, e da Israeli Beitenu, il partito guidato da Avigdor Lieberman. La fusione è particolare: innanzitutto non si tratta della fusione tra i due partiti, ma solo di una fusione delle liste elettorali, ma soprattutto è stata imposta dalle rispettive dirigenze nazionali senza affatto consultare le proprie basi. Proprio quest’aspetto aveva destato qualche speranza nei Laburisti guidati da Shelly Yachimovich, che si aspettavano che il consenso verso Likud Beitenu fosse inferiore alla somma del consenso per la Likud e Israeli Beitenu ante fusione. Ma non è affatto così: Likud Beitenu, che candida Bibi nuovamente Premier, continua anzi a salire nei sondaggi, lasciando pochissimo spazio ai Laburisti per svolgere un’opposizione efficace.”Bibi”, come viene soprannominato Netanyahu, è sempre stato considerato molto rassicurante da parte dei suoi elettori, che in questo momento hanno bisogno di sentirsi salvaguardati. Per capire il motivo dell’ascesa continua di Likud Beitenu e del successo di Netanyahu bisogna guardare soprattutto alla politica estera: nuovi scenari si stanno aprendo in questi mesi e sono prospettive che giustamente spaventano gli Israeliani.In primis l’elezione di Obama, rispetto a Romney, rappresenta una minaccia per Israele a causa della maggiore intransigenza del repubblicano verso la Palestina. Infatti, l’attacco sferzato contro Gaza che ha ucciso Jaabari – leader di Hamas e comandante di 20.000 uomini armati – il 14 Novembre va interpretato anche come segnale a Obama: un avvertimento contro il riconoscimento della Palestina quale Stato osservatore all’ONU, che da quando è stata ammessa all’UNESCO comincia a diventare un’ipotesi meno remota. Obama, infatti, proprio negli stessi giorni dell’attacco, aveva reso note le intenzioni di avviare una nuova mediazione per risolvere la questione arabo-israeliana, ma con l’ira di Hamas e dei suoi militanti scatenata dall’attacco del 14 Novembre la pace si allontana inevitabilmente. D’altronde Netanyahu non si è mai fatto riconoscere quale portatore di pace, ma ha sempre rimandato al mittente le proposte di negoziato palestinesi, senza lasciare molto spazio alla risoluzione pacifica del conflitto latente, ora riemerso dopo quattro anni di semi-tregua e che sfocerà probabilmente anche in un conflitto sul confine con il Libano, dove Hezbollah è già pronta a fornire sostegno militare ad Hamas.In secondo luogo, Israele nutre molto timore per la guerra civile in Siria: al rischio di trovarsi a che fare con un regime forse più democratico, ma sicuramente più islamista e dalle ignote posizioni in politica estera, non c’è nessun dubbio che l’opzione migliore per Israele sia non interferire con il regime di Assad. E questo è anche uno dei motivi fondamentali per cui la NATO non interviene in favore degli Insorti in Siria.Inoltre, i rapporti con l’Egitto si stanno facendo sempre più tesi. Mohammed Morsi ha fatto rientrare il proprio ambasciatore in Israele e lo stesso ha fatto Netanyahu con l’ambasciatore israeliano in Egitto.La situazione che va delineandosi in Medio Oriente spaventa il mondo intero e scatena nuove ondate di rabbia e vendetta da parte israeliana, ma spianano la strada alla rielezione di Netanyahu. La nuova maggioranza di Governo, con questa situazione ai confini, probabilmente non sarà d’aiuto a Bibi solo per approvare le misure di austerity, ma anche per giustificare probabili nuovi attacchi verso Hamas.
ELISA GAMBARDELLA
Ottima ricostruzione dell’autrice dell’articolo di cui ho letto già molti testi in passato con estremo piacere. Se l’è cavata egregiamente e la esorto ad analizzare con ulteriore approfondimento la complessa questione delle relazioni Israele – USA nell’era Obama. Una delle principali chiavi di accesso al problema è proprio questo strano rapporto “privilegiato” in cui i due leader non sembrano sopportarsi a vicenda, mentre davanti a tutto il mondo e all’elettorato mantengono a stento la facciata degli “eterni alleati”. Brava Elisa! Hai affrontato un argomento estremamente difficile. Promossa a pieni voti!