Tra le date che questo anno in via di conclusione consegna alla storia c’è, senza dubbio, quella del 29 novembre, giorno in cui, dopo un’attesa lunga, difficile, sofferta, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) entra a far parte della Comunità delle Nazioni Unite, seppur con lo status di osservatore non membro dell’ONU.Considerazioni di carattere giuridico ci portano a sottolineare la valenza di soft law della risoluzione approvata dall’Assemblea generale, in quanto attribuisce all’Anp solo una condizione di “quasi membro” delle Nazioni Unite, senza le prerogative riconosciute ai 193 componenti a pieno titolo. È altrettanto evidente che solo il Consiglio di sicurezza avrà il potere di fare un passo ulteriore verso la piena legittimazione giuridica dell’Anp, come richiesto dai palestinesi il 23 settembre del 2011, e questa eventualità non sembra praticabile alla luce dell’attuale stallo diplomatico per la risoluzione del secolare conflitto con Israele.Tuttavia, il voto dell’Assemblea generale riveste un profondo significato simbolico e politico, perché fissa un punto fermo da cui non si potrà più retrocedere, potendo porre le premesse per un futuro – non sappiamo quanto distante nel tempo – ingresso della Palestina nella Comunità internazionale degli Stati sovrani.E tutto ciò avviene proprio in una fase di recrudescenza della situazione a Gaza, dove l’aggressività terroristica di Hamas ha prodotto la cruenta reazione di Tel Aviv, che solo l’abile mediazione del neo Presidente egiziano, Mohamed Morsi con il sostegno del Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha attenuato, favorendo le condizioni per un “cessate il fuoco”.Alla luce di un simile quadro, qual è il vero significato da attribuire al voto Onu sulla Palestina? Quali conseguenze potrà comportare nel processo di pace con Israele? E soprattutto, chi ha vinto e chi ha perso dopo questo voto?Sono domande che assillano non solo le diplomazie, ma anche l’opinione pubblica mondiale, perché l’esito del conflitto per la “terra promessa” produce ricadute a cascata sull’intero quadrante mediorientale e sulla vasta area del Mediterraneo.Le prime reazioni del governo israeliano sono state di netta contrarietà al voto dell’Assemblea generale, nella preoccupazione che questo parziale riconoscimento della Palestina possa rafforzare l’estremismo di Hamas e indebolire la posizione di Israele. Viceversa, nei territori palestinesi si è assistito a manifestazioni di giubilo, nonché a rassicuranti dichiarazioni dei vertici dell’Anp sui propositi futuri.Ad uno sguardo sommario, l’intera vicenda può apparire, dunque, come un successo di una parte sull’altra, ma se si tenta di seguire un approccio più approfondito ed obiettivo non si può negare come dal 29 novembre siano più forti entrambe, e lo sia anche l’Onu.La Palestina, per opera del Presidente Abu Mazen, vede una luce verso la piena legittimazione come organizzazione statuale; Israele, pur nella contrarietà della scelta seguita dalla maggioranza dei membri Onu, potrà contare su un interlocutore più solido perché considerato tale dalla Comunità internazionale. Al Fatah si conferma l’unica forza politica capace di guidare il processo di pace verso una stabile meta, fiaccando, auspicabilmente, le capacità di consenso di Hamas presso il popolo palestinese. Tel Aviv continuerà a godere del sostegno dei suoi storici alleati (su tutti, gli USA) ma anche dei Paesi (tra cui l’Italia) che hanno votato si alla risoluzione. Infine, l’Onu, che torna, seppur tra mille debolezze e limiti, centrale nella scena politica internazionale, come sede del confronto e della sintesi delle controversie, secondo l’auspicio dei suoi fondatori.Resta l’incognita dell’atteggiamento che potrà assumere l’integralismo islamico, indebolito dal nuovo scenario ma nondimeno animato da propositi bellicosi e terroristici nei confronti di Israele.Nonostante questo dubbio, però, si può ritenere che il voto dell’Assemblea generale abbia creato una strada su cui costruire il processo di pace, una pace che si basi sul reciproco riconoscimento tra due popoli e tra due Stati, sotto l’egida, finalmente, della principale organizzazione internazionale deputata a tale fine.
VINCENZO IACOVISSI